lunedì 26 febbraio 2024

Reimarus, l'ipotesi Lotti e altro.

PREMESSA: Pubblico in forma di post, accorpandoli, alcuni commenti del mio lettore che si firma Reimarus, che mi sembrano degni di lettura e che, se pubblicati solo come commenti a latere del blog, passerebbero del tutto inosservati. Non che la pagina principale risulti molto seguita, se non da un pugno di affezionati.
Faccio seguire, in calce, una mia breve osservazione.



(...) Passando a questioni di sostanza, debbo dire che la qualificazione ("romanzo") che l'Autore dà alla ricostruzione di Antonio Segnini mi trova del tutto d'accordo, e di essa avevo pensato proprio in questi termini. La verosimiglianza, carattere comune a molte opere romanzesche, non è indizio necessario di storicità o anche solo di probabile storicità (supposto che nella fattispecie verosimiglianza sempre vi sia); l'onere della prova "incumbit ei qui dicit", mentre è illogico richiedere la "probatio diabolica" di un'impossibilità o di un'inesistenza. Sul conto del Lotti serial killer unico osservo che la supposta corrispondenza tra la sua figura e il "profilo" che del responsabile dei duplici omicidi fu tracciato dal FBI in buona misura non esiste, perché gli esperti americani descrivono un soggetto che, per livello di scolarità e per attività lavorativa, non corrisponde con Lotti, ed è anche dubbio che l'incapacità sessuale supposta dai "profilatori" di oltreoceano si riscontrasse nel Lotti; presentare il Lotti come un "furbacchione", esaltarne l'intelligenza perché in giudizio avrebbe "resistito" ai controesami da parte della difesa di Vanni non tiene conto del fatto che le sue sono state per così dire "audizioni protette", e se fosse stato, come avrebbe potuto e a mio avviso dovuto, essere incalzato dal Presidente del collegio giudicante, sarebbe probabilmente crollato, e come lui Pucci, e comunque appare di immediata evidenza che egli si rende ridicolo in plurimi passaggi delle sue dichiarazioni ("ex plurimis", tra i tanti esempi che potrebbero addursi, si consideri il ruolo di "pistolero forzato" che si attribuisce per Giogoli, dove gli sarebbe stato ingiunto addirittura di aprire la sequenza degli spari, pur non sapendosi, da chi l'avrebbe forzato, se Lotti avesse confidenza con armi da fuoco), che, esternate in una mescita anziché in un'aula di giustizia, avrebbero probabilmente destato scetticismo e finanche ilarità.

Sul tema - molto opportunamente formulato dall'Autore del blog nel suo ultimo post - della falsificabilità, che, nella prospettiva della filosofia della scienza di Popper, rappresenta la linea di demarcazione tra scienza e metafisica e, nel contesto del discorso sul Mdf, distingue l'area della ricostruzione obiettiva dei fatti, per quanto essa è possibile, e la letteratura (anch'essa, beninteso, degna di riguardo, se non altro perché può indicare vie di ulteriore ricerca), v'è da precisare che vi è un elemento che Antonio Segnini ha indicato come possibile conferma o smentita oggettiva alla sua ricostruzione: le impronte digitali trovate nella parte superiore della carrozzeria dell'automobile in cui nel 1984 Claudio Stefanacci e Pia Rontini trovarono la morte a Vicchio per mano del Mdf. Poiché, infatti, nella ricostruzione della dinamica di quel delitto Antonio Segnini (il riferimento è a uno dei video del suo corso di mostrologia su Youtube) suppone che lo sparatore abbia ad un certo punto poggiato una mano, laddove si trovano le predette impronte digitali, egli ritiene che quelle impronte siano state lasciate da Giancarlo.Lotti. E' ben vero che le impronte, o frammenti d'impronte, di cui si tratta non sono sufficienti per un'identificazione processualmente certa, ovvero valida in campo forense, ma esse consentono quantomeno di escludere (come è stato fatto comparando quei frammenti d'impronte con i reperti dattiloscopici di Pacciani, ad esempio) o di non escludere (ossia di formulare un giudizio di compatibilità). Quindi, indipendentemente da quel che si può pensare circa la reale efficacia probante delle impronte in questione ai fini dell'identificazione del responsabile o di un corresponsabile del duplice omicidio del 1984, nel contesto dell'ipotesi di Segnini. esse assumono rilievo pressoché decisivo, poiché, secondo S., se Lotti è colui che ha ucciso i due giovani a Vicchio nel 1984 e quindi il responsabile anche degli altri duplici omicidi commessi tra il 1974 e il 1985, è lui che ha lasciato quelle impronte e quindi, comparando quei frammenti con i suoi reperti dattiloscopici, dovrebbe uscirne un giudizio di compatibilità. E qui sopravviene uno dei misteri della burocrazia giudiziaria italiana: di un individuo che, come Giancarlo Lotti è stato indagato, imputato, processato, condannato e incarcerato, per una serie di gravissimi delitti, parrebbe che non siano reperibili impronte digitali (diversamente da quanto si riscontra per Pacciani e Vanni), sicché non è stato possibile effettuare la comparazione, richiesta anche per Lotti.
Segnini, nel suo video dedicato alla questione, accenna in maniera vaga e molto discreta al fatto che la cosa potrebbe non essere casuale, ossia che si sia voluto mettere al riparo la versione ufficiale da risultanze che avrebbero potuto metterla seriamente in discussione, ma la burocrazia giudiziaria italiana ci ha dato altri esempi di memorabile sciatteria, com'è il caso della distruzione (nel 2000, quando le potenzialità del DNA per le indagini erano ormai ben note), per "fare spazio", dei vetrini con le tracce biologiche dell'assassino di Lidia Macchi, studentessa universitaria ventenne uccisa in provincia di Varese nel gennaio 1987 dopo essere stata costretta ad un rapporto sessuale (delitto per il quale è stato processato Stefano Binda, condannato all'ergastolo in primo grado e assolto con formula piena in appello - sentenza assolutoria confermata poi dalla Cassazione). Ha ben ragione Segnini di lamentare il mancato reperimento delle impronte digitali che dovrebbero pur essere state prese a Lotti ma dietro lo sconcertante fatto non è dato, allo stato, vedere altro che l'ennesimo mistero doloroso della burocrazia giudiziaria italiana. com'è il caso, recentissimamente emerso, della scomparsa delle fotografie che la coppia di francesi uccisa nel 1985 a Scopeti aveva scattato nel viaggio italiano conclusosi con la loro uccisione.

Se l'Autore del blog consente un ulteriore intervento vorrei indicare un altro profilo sotto il quale la vicenda del processi a PP e quindi ai Cdm può essere vista, ed è quella della valutazione della testimonianza (e della chiamata in correità). L'adozione di criteri troppo rigidi (ossia troppo ispirati al buonsenso) nel valutare l'attendibilità di deposizioni testimoniali rischierebbe di pregiudicare il "buon esito" di giudizi nei quali la materia è anche politicamente "sensibile": si pensi al ruolo che la controversa testimonianza di Massimo Sparti ha avuto nel portare alla condanna (diventata definitiva nel 1995) di Fioravanti e Mambro per la strage di Bologna, ponendo così il primo mattone di quella costruzione che si è poi venuta completando con le condanne di Ciavardini, Cavallini e Bellini. In altri processi "politicamente" sensibili, le testimonianze non sono state ritenute sufficienti: è il caso del coinvolgimento dell'"ideologo" di estrema destra Paolo Signorelli come mandante nei processi per l'uccisione, a Roma, dei magistrati Mario Amato e Vittorio Occorsio. Per quest'ultimo delitto, fu proprio la Procura di Firenze a occuparsene e in particolare Vigna (con Chelazzi): determinante per l'incriminazione e la successiva condanna di Signorelli in primo e secondo grado per concorso morale nell'omicidio Occorsio fu la testimonianza di Aldo Tisei e per ben due volte, nel 1987 e nel 1989, la Prima Sezione Penale della Cassazione, presieduta da Corrado Carnevale (che nel 1993 fu poi sospeso dal servizio, in relazione alle indagini promosse a suo carico per concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso) annullò le condanne in appello di Signorelli emesse nel 1986 e nel 1988 dalla Corte d'Assise d'Appello di Firenze (la vicenda si è poi conclusa con il passaggio in giudicato della sentenza di assoluzione emessa nel 1993 dalla Corte d'Assise di Appello di Bologna). Una gustosa rassegna di "pentiti" dell'ambiente dell'estrema destra eversiva, di pugno probabilmente dello stesso Signorelli, è nelle pagg. 212-257 del testo "Paolo Signorelli - il Teorema, il Mostro, il Caso", a cura del Comitato di Solidarietà pro Detenuti Politici, Rovereto 1988.
Su altra sponda politica, si pensi alla rilevanza della testimonianza, ottenuta con metodi non proprio cristallini, del tassista Rolandi, alla base delle lunghe traversìe giudiziarie dell'anarchico Pietro Valpreda per la strage di piazza Fontana.

Un piccolo commento dell’autore del blog.
Premesso che sulla seconda parte dell'intervento di Reimarus dichiaro la mia ignoranza e non esprimo opinioni, torno subito al tema che qui ci occupa.

 Temo che ogni studioso, di qualsiasi materia, nella sua attività, quand’anche sia convinto di operare con la massima oggettività possibile, finisca con lo sposare un’ipotesi che sia in grado di spiegare il fenomeno che è oggetto di studio. In altre parole, un’acribìa assoluta è probabilmente irraggiungibile.
Segnini si è convinto per illuminazione ricevuta vedendo un video (almeno così ho capito) che Lotti sia stato il vero Mostro di Firenze; e ha passato anni a individuare, con grande acutezza e perspicacia, ogni piccolo elemento che concordasse con questa sua ipotesi, trascurandone altri che con questa non si accordavano. Faccio solo un esempio. La strenua difesa che Lotti fa della sua colpevolezza nel finale del processo di I grado e in quello di appello, quando spunta la questione delle auto, dimostra a mio parere ad abundantiam che in quel frangente Lotti, ben lungi dall’essere un astuto che sta fregando la giustizia, non è altro che un docile strumento dell’apparato giudiario, dichiarante a suo stesso discapito.


Sposare un’ipotesi, innamorarsi di un’ipotesi di lavoro (notare la valenza affettivo /erotica dei termini che abitualmente si usano) è un fenomeno dal quale nessuno è immune. Io stesso, che predico come mantra che “del Mostro di Firenze non sappiamo niente”, involontariamente formulo un’ipotesi (quella del dubbio sistematico) di cui sono innamorato. Faccio un altro esempio concreto riferito ora alla mia modalità di pensiero. Ritengo che MdF fosse probabilmente un killer unico; tendo di conseguenza a trascurare ogni ipotesi che comporti gruppi assassini, complotti, mandanti, sette esoteriche; e quando le approfondisco, ad esempio contra “Compagni di Merende”, è per contestarle, ricadendo quindi inevitabilmente in tunnel vision, cherry picking ecc.
In tema religioso, può accadere che quando si apostata da una dottrina spesso si diventa i peggiori nemici di quella fede cui un tempo si aderiva; abbiamo esempi medievali di ebrei o eretici convertiti che divennero persecutori dei loro antichi correligionari. In altre parole, quando ci si distacca da una credenza, si tende ad estremizzare in senso opposto. Così io, che ho iniziato come mostrologo “sardista” nel 2011, affascinato dalla storia del bambino sperso di notte nei campi, avendo acquisito ora una visione d’insieme “non sardista”ho maggior difficoltà a interpretare nuovi elementi di conoscenza in maniera neutra, ma cercherò di vedervi solo i dettagli che confermano la mia credenza. Brutta cosa, ma invitabile, temo.

lunedì 1 gennaio 2024

Buoni propositi 2024


Per il 2024 faccio qualche modesto proposito in campo mostrologico.

Ho deciso di accettare la sfida, più volta propostami da Antonio Segnini, a segnalare ed esplicitare quello che non mi convince (o meglio “non quadra”) nella sua ipotesi di Lotti serial killer unico dal 1974 al 1985.




Premetto che la storia raccontata da Segnini nel suo blog, nei suoi video su YouTube e da ultimo nel suo recente volume [“Quando sei con me il Mostro non c’è”] è romanzata, non perché l’autore abbia voluto comporla così, ma per oggettiva mancanza di informazioni sul presunto protagonista. Ora, se un romanzo è ben costruito, e quello di Segnini indubbiamente lo è, è difficile trovare dei punti deboli nella trama, soprattutto quando di un personaggio si conosce piuttosto poco. Faccio due esempi, relativi alle opere del grande romanziere francese Alexandre Dumas. “I tre moschettieri” è un romanzo di fantasia inserito in un’ambientazione storica. I personaggi (Anna d’Austria, il duca di Buckingham e anche d‘Artagnan) sono persone realmente vissute, gli avvenimenti hanno maggiore o minore riscontro nei libri di storia (l’assedio di La Rochelle,lo scandalo dei diamanti). Intorno a questo nucleo di realtà, Dumas intesse una meravigliosa storia d’avventura e amore; per quanto non è storico, subentra la “suspension of disbelief” del lettore, aiutata dalla maestria dell’autore. “La regina Margot” sempre di Dumas è un romanzo bellissimo e - a mio parere - sottovalutato: anche qui i protagonisti sono personaggi storici (Margherita di Valois e i suoi fratelli, Caterina de’ Medici, Enrico di Borbone e anche il protagonista principale, il meno conosciuto conte de La Môle) e gli avvenimenti sono tristemente noti (le nozze vermiglie di Enrico e Margherita e la concomitante notte di San Bartolomeo). Anche qui, il nucleo è storico, l’intreccio avventuroso/amoroso e la sovrastruttura sono dell’autore.

Allo stesso modo dei romanzi che ho citato, l’ipotesi di Segnini non è falsificabile. Come non si può dimostrare che d’Artagnan non abbia partecipato al recupero dei diamanti della regina, così non si può dimostrare che Lotti non sia il Mostro di Firenze. E come dimostrare che non sia davvero esistita un’affascinante e perfida dama soprannominata Milady, visto che un personaggio dello stesso cognome (de Winter) è attestato in altre fonti narrative? Tuttavia, è chiaro che l’intreccio è opera esclusiva dell’autore. Bisogna quindi ragionare in termini di minore o maggiore plausibilità; è possibile delineare una ricostruzione del personaggio Lotti che sia più lineare, più semplice, in una parola più verosimile di quella di Segnini? A mio parere essa esiste e ne ho parlato spesso in queste pagine: in breve, si tratta di Lotti falso testimone, estraneo alla vicenda, ma portato a confessare con il miraggio di non finire in carcere a far compagnia a Pacciani. In questo senso potrei rivolgere a Segnini l’opposta domanda: cosa non gli quadra in questa ricostruzione di cui ho scritto ad abundantiam? Sono consapevole che esiste qualche crux  (la prima confessione di Pucci, la piazzola di Vicchio), ma ne parleremo con tutta calma e a tempo debito. Quindi metto in cantiere ufficialmente un saggio ispirato al Contra Celsum di Origene a confutazione delle false credenze su Lotti.

 

Altri propositi sono la visione del lunghissimo film di Francis Trinipet (credo sia solo il primo di una serie) la cui creatività artistica e documentaria ho sempre apprezzato. E come penitenza per  miei peccati l’ascolto dei post a libero accesso di Marco Aufiero, perché conoscere le argomentazioni degli avversari è sempre necessario.

 

I moltissimi mostrologi che non ho citato mi perdonino, ma oltre alla storia del MdF ho tanti altri interessi, il tempo è poco e l’età avanza.  Buon 2024 a belli e brutti!


Nota: mi sembra che recentemente Blogger abbia problemi ad accettare commenti se non inviati attraverso il browser Chrome. Chi trova difficoltà può comunque commentare sulla pagina FB dedicata: https://www.facebook.com/profile.php?id=100042219083689

giovedì 21 dicembre 2023

Psicologia della testimonianza

 

Le Consulenze tecniche del Prof. Sartori per il processo di revisione della Strage di Erba

A 17 anni dalla Strage di Erba e a 12 dalla condanna definitiva all'ergastolo, la vicenda processuale di Olindo Romano e Rosa Bazzi torna di attualità grazie ad una duplice richiesta di revisione in questi giorni all'esame della Corte d'Appello di Brescia. Da una parte un alto magistrato, il sostituto procuratore di Milano Cuno Tarfusser, dall'altra i difensori dei due condannati hanno chiesto di riesaminare le prove e rivedere la condanna per Olindo e Rosa. Esaminando la voluminosa perizia della difesa, coordinata dal professor Giuseppe Sartori, direttore del master di Neuropsicologia Forense dell'Università di Padova e sviluppata da 15 tra professori ed esperti di materie criminologiche, Speciale Tg1 ha realizzato: "Olindo e Rosa colpevoli imperfetti?" di Alessandro Gaeta, montaggio di Stefano Carpagnano. Concludono il reportage le rivelazioni di uno spacciatore tunisino e di un ex carabiniere che ha partecipato alle indagini.

https://www.raiplay.it/video/2023/12/Speciale-Tg1-a57adf01-50ec-4bb6-b255-29b6b94f48cd.html?wt_mc=2.app.cpy.raiplay_prg_Speciale+Tg1.&wt

 


Questo post potrebbe sembrare fuori argomento nel mio blog, ma non lo è del tutto. Lungi da me il voler ficcare il naso nella storia giudiziaria della strage di Erba, di cui so poco o nulla, ma alcune osservazioni fatte dagli esperti nel corso del programma in tema di: false confessioni, suggestionabilità dei soggetti con ritardo mentale, pressioni degli inquirenti, promesse incautamente fatte agli imputati, insorgere di falsi ricordi creduti veri si attagliano molto bene a personaggi e fatti della vicenda che qui ci occupa. I nomi di Stefano Mele, Pucci, Lotti, Ghiribelli non possono non venire alla mente.

Ricordo, anche en passant, le indagini sul caso Marta Russo, nel corso delle quali una testimone confidò telefonicamente a un amico: “E questi (ndr: si intende polizia giudiziaria e Pubblico Ministero) fino alle cinque del mattino hanno voluto assolutamente che dal subconscio... veramente dall’ano proprio del cervello, mi venisse in mente qualche faccia, qualche immagine...” ((da “Marta Russo. Di sicuro c’è solo che è morta” di Vittorio Pezzuto, pag. 81). Ma ohimé, sembra chiaro che dall’ano del cervello possano provenire solo ricordi, come dire, inquinati.

 

Qui il link alla pagina del prof. Sartori:  https://www.testimonianzapenale.com/

 

lunedì 18 dicembre 2023

Reimarus e l'ipotesi di Carlo Palego


 

Per favorirne la leggibilità ho riunito in un unico post alcuni recenti commenti inviatimi dal lettore che si firma “Reimarus”e concernenti l’ipotesi avanzata sui social e - a quanto ne so - in pubblici convegni, da Carlo Palego.

Il testo che segue è attribuibile in toto a Reimarus e sono intervenuto solo per scrivere in chiaro i nomi di diversi protagonisti, non ritenendo che nello scritto si possa ravvisare alcun contenuto diffamatorio nei confronti dei nominati.

Per quanto mi concerne, non ho intenzione di intervenire sulla teoria generale di Palego,sia per mancanza di competenza che di interesse. Tuttavia alcuni specifici aspetti possono essere, a mio giudizio, meritevoli di discussione e commento.

Spero di non dispiacere all’estensore di questi commenti e auguro buona lettura.

 

 Chiedo venia, ma leggo solo ora della richiesta che l'Autore del blog mi ha rivolto il 21 novembre. Debbo dire che, interessandomi alla materia solo da poco tempo e avendone una conoscenza enormemente inferiore a quella di appassionati che hanno letto una quantità di documenti, e un livello di coinvolgimento non paragonabile al loro, alcune supposizioni hanno ancora il potere di stupirmi. E' il caso di chi ha ipotizzato che lo scrivente sia un "alter ego" dell'Autore di questo blog ed anche il caso di chi, a quanto pare, sembra ritenere che lo scrivente abbia in materia prodotto altro oltre agli interventi su questo blog. Non è così e, se a ciò non si credesse, non so che cosa farci.

Il mio approccio alla vicenda è condizionato da un atteggiamento pregiudiziale che mi spinge a vederla come un caso catalogabile tra "inganni e imbrogli del Potere" (intesi in senso lato, tale da includere non necessariamente condotte dolose, ma anche condotte non esenti da colpa grave). Questo atteggiamento pregiudiziale è stato instillato dalla conoscenza (tramite letture) di vicende giudiziarie classificabili nella categoria delle "montature", da quelle a danno degli anarchici per le bombe sui treni e per la strage di piazza Fontana, a storie siciliane come quella dei carabinieri uccisi ad Alcamo Marina (non molto nota e rievocata nel libro edito da Chiarelettere "Alkamar" - una lettura allucinante) e l'altra relativa al "caso Scarantino", con la falsa pista creata e perseguita in ordine alla strage Borsellino, ed altre ancora (un altro caso è quello rievocato nel libro di Pablo Trincia "Veleno": un protagonista negativo di quell'incredibile e assolutamente inquietante vicenda ha potuto non da molto godere dell'assoluzione in appello).

Intendiamoci, per quanto riguarda il Mdf il "movente" dell'investimento di credibilità in soggetti che non la meritavano sta, per quanto - a mio avviso - si può dire allo stato delle conoscenze, semplicemente nella necessità di evitare un enorme danno reputazionale ad alcuni investigatori e ad alcuni magistrati inquirenti, nonché il connesso danno d'immagine alla "Giustizia" italiana, che non aveva certo bisogno di un altro caso Tortora. Un merito che riconosco all'approccio di uno studioso della vicenda che da una paio d'anni circa a questa parte vuol cercare di <<strappare la maschera al Mdf>> è quello di aver portato l'attenzione su alcuni aspetti che possono talora non ricevere la debita attenzione, anche per un senso di riverenza verso le autorità costituite e probabilmente anche per il timore di possibili reazioni ex art. 595 c.p.: così l'influenzabilità di magistrati da parte delle FF.OO., l’”affidabilità dei consulenti tecnici, la permeabilità degli uffici giudiziari anche a livello dei loro archivi correnti, eccetera.

Se, infine, l'Autore del blog mi consente un'ulteriore considerazione, banale ma non immeritevole di formulazione, la vicenda dei processi per i delitti cosiddetti del MdF è altresì una riprova del carattere "di classe" della giustizia penale. L'intellettuale Adriano Sofri con i suoi coimputati per l'uccisione di Luigi Calabresi ha visto una doppia sentenza conforme di condanna annullata dalle Sezioni Unite Penali della Cassazione per un insufficiente vaglio dell'attendibilità del "pentito" Leonardo Marino, un personaggio decisamente più credibile di Pucci e Lotti; nella stessa vicenda è poi stato concesso anche un giudizio di revisione. Per quanto anche in tal caso la condanna sia passata in giudicato, non può non colpire la diversità di trattamento, con reiterati dubbi a fronte di un accusatore ben più attendibile. Si pensi anche alla revisione concessa a Massimo Carlotto per l'assassinio di Margherita Magello e terminata con la conferma della condanna solo dopo una rocambolesca vicenda processuale. Non può stupire che si sia ritenuto non meritevole di altrettanti riguardi un modestissimo pensionato delle Poste, debitamente marchiato con lo stigma di condotte sessuali devianti.

Se si vuol provare a farsi un'idea di certi scenari, può essere utile il ragionamento per analogia. Ad esempio, si sa delle discrete pressioni esercitate su Sabrina Carmignani perché rendesse dichiarazioni che collocassero Vanni in circostanze di tempo e di luogo tali da far sospettare una partecipazione del postino al duplice omicidio degli Scopeti. Ci si può ben immaginare che, con un soggetto che prometteva di essere ben più determinante della Carmignani e anche più malleabile, come Giancarlo Lotti, gli inquirenti siano ricorsi a strategie volte a fargli rendere le dichiarazioni desiderate. Un ovvio indizio in tal senso è rappresentato dalla nota conversazione telefonica intercettata tra Lotti e Filippa Nicoletti e dalla rappresentazione che Lotti vi fa dell'operato degli inquirenti nei suoi riguardi (conversazione che Lotti significativamente a dibattimento volle sminuire o meglio smentire, e che nella motivazione della sentenza d'appello nel processo ai CdM è puramente e semplicemente, senza che di ciò si dia alcuna ragione e in difformità dal senso letterale delle parole, interpretata all'incontrario, come una sorta di dichiarazione confessoria da parte di Lotti). Comunque, a mio avviso, benché sia legittimo e opportuno che, in sede di ricostruzione storica, si avanzino ipotesi anche su questo aspetto, sul piano della valutazione critica delle risultanze giudiziarie il discorso si chiude dopo il rilievo dell'inverosimiglianza di quanto dichiarato, non potendo porsi a carico di chi non creda in dichiarazioni inverosimili l'onere di dimostrare quale sia stata la genesi di quelle dichiarazioni, ovvero come esse siano venute fuori.

Per il principio indicato come "rasoio di Occam", una delle cui formulazioni è "frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora", ritengo che in prima battuta l'ipotesi più probabile sia quella di un unico autore dei duplici omicidi quantomeno dal 1974 sino al 1985. L'analisi critica dei processi che si tennero fra 1994 e 2000 porta a concludere che lo stesso non sia alcuno degli imputati in tali processi. Ciò premesso, i rilievi di Carlo Palego. hanno, a mio avviso, una loro utilità in quanto evidenziano errori e lacune dell'attività d'indagine, al di là dell'interpretazione che ne dà Palego come frutto d'intenzionale depistaggio. L'interessante notazione per la quale un giudice che si occupò delle indagini su alcuni di questi delitti sarebbe stato, in buona sostanza, succube delle indicazioni investigative provenienti dai CC, con avvio della "pista sarda" poi archiviata nel 1989, porta alla mente un altro caso in cui "l'intuizione" degli inquirenti delle FF.OO., certamente non sospettabile di intenzione depistante, portò le indagini in un vicolo cieco, addirittura in quel caso prevalendo su una diversa opinione della magistratura. Si tratta del caso noto come "delitto della Cattolica, l'uccisione di una giovane donna, Simonetta Ferrero, in un bagno femminile dell'Università Cattolica di Milano nella tarda mattinata di sabato 24 luglio 1971. Da un ottimo studio di Alberto Miatello reperibile in rete si evince un particolare che le ricostruzioni della vicenda per lo più non menzionano: il giudice che per primo si occupò delle indagini su questo delitto riteneva che il colpevole andasse ricercato tra i quattro operai che stavano effettuando lavori nel piano inferiore a quello in cui si trovava il bagno in cui fu commesso l'omicidio, ma su tale sua opinione prevalse quella degli investigatori delle FF.OO., fermi nel ritenere che il responsabile fosse qualche palese "fuori di testa", con conseguente abbandono immediato della pista che puntava sui predetti operai e impegno totalitario delle indagini in una "pesca a strascico" di personaggi "strani" che non approdò a nulla. Nel suo articolo/saggio sul delitto in questione, Miatello delinea una scenario quantomai banale e plausibile circa la dinamica e dimostra come l'ipotesi di gran lunga più probabile (egli la ritiene pressoché certa) sia quella originariamente formulata dal magistrato che primo si occupò della vicenda. Tenendo conto del fatto che, da alcuni rilievi sulla scena del crimine, si ricava che l'omicida aveva un'altezza certamente superiore a m. 1,80 e di "almeno 1 metro e 85" (così un funzionario della Polizia Scientifica, in una trasmissione di Lucarelli dedicata al caso), all'epoca, come ancora oggi, ben superiore a quella media della popolazione maschile italiana, e che l'omicida, grondante sangue dopo aver accoltellato decine di volte la vittima, doveva necessariamente disporre della possibilità di un ricambio a sua immediata disposizione, la soluzione di questo "mistero italiano" parrebbe essere stata a portata di mano, ma le FF.OO. la pensavano diversamente....

Per quanto riguarda, poi, la supposta stranezza della conservazione di reperti che avrebbero dovuto essere distrutti dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna di Stefano Mele - altro elemento sul quale, tra gli altri, insiste Carlo Palego - non si può che rimandare (in tema di "irregolarità" della burocrazia giudiziaria italiana) alla lettura dell'articolo "Gli audio degli amici di Riina sono ancora qui" sul "Fatto Quotidiano" di oggi (nota: 9 dicembre 2023) alle pagg. 8-9, dal quale si evince che bobine che avrebbero dovuto essere tassativamente smagnetizzate nel 1997, con distruzione dei relativi brogliacci, ancora oggi, un quarto di secolo dopo, sono conservate con i relativi brogliacci (v. risposta dell'ex PM Gioacchino Natoli al giornalista Giuseppe Pipitone, a pag. 9).

Un altro caso è quello che è emerso in seguito alla rivisitazione delle indagini e dei processi sul fatto criminoso noto come "strage di Erba", per la quale è stata condannata in via definitiva una coppia di coniugi: nella recentissima pubblicazione di Monteleone-Priano "Erba", a pag. 199, si menziona "il quadro impietoso che emerge dalla relazione del Ministero della Giustizia e che sostanzialmente descrive il tribunale di Como, in particolare il suo ufficio corpi di reato, come un "porto di mare": reperti spariti, catene di custodia non documentate, una schizofrenica interpretazione delle linee guida sulla distruzione dei reperti per fare spazio negli scaffali".

Per quanto riguarda la partecipazione del G.I. Vincenzo Tricomi alla nascita della “pista sarda”, Palego afferma piuttosto apoditticamente il punto nel corso (la prima volta durante il minuto 55) del lungo video in https://www.youtube.com/watch?v=UfxREtr7rPs&t=2595s 
Nei commenti al video sopra linkato, ad un utente (angelosacco) che gli chiede conto dell'asserzione concernente la malleabilità del Tricomi, Palego risponde che questi "era conosciutissimo sia da Mannucci Benincasa che da Dell'Amico, su questo esistono documenti. Era uno poco acuto, di corta memoria (dimostrabilissimo), che si atteneva strettamente a ciò che gli diceva la propria funzione di PG senza mai prendere iniziative autonome (come invece la Della Monica aveva dimostrato di saper fare). Questo ovviamente non è certificato in documenti ufficiali. Tuttavia i fatti del 1982 confermano in pieno questo". Carlo Palego afferma che la Della Monica chiese, anche per iscritto, che le fosse trasmesso l'anonimo che richiamava il duplice omicidio del 1968 (sul presupposto che potesse essere stato spedito dal MdF), ma che non l'ebbe mai; egli ritiene, se ho ben inteso, che l'anonimo in questione semplicemente non sia mai esistito. Palego inoltre ritiene, come egli riepiloga nella risposta all'utente angelosacco nei commenti al video sopra linkato, che dal fascicolo relativo al processo per il duplice omicidio Locci-Lo Bianco siano stati fatti sparire i rilievi fotografici relativi ai reperti balistici esaminati nel 1968 da Zuntini e che il c.t. Ignazio Spampinato fosse ben consapevole che i reperti balistici ritrovati a Firenze nel 1982 avessero caratteristiche non compatibili con quelle descritte nella perizia Zuntini del 1968 relativa al duplice omicidio di Signa e che, in accordo con ufficiali dei CC, si decise "di sorvolare (cioè di non lasciare carte) su quel confronto" (la discrasia - afferma Palego - passò inosservata in seguito anche perché nessuno si è poi posto "il problema della verifica della provenienza dei reperti ritrovati a Firenze", per i quali - asserisce Palego - manca una catena di tracciamento che li riconduca con certezza al duplice omicidio del 1968 (secondo lui quei reperti sarebbero infatti stati infilati nel fascicolo del processo per il duplice omicidio del 1968 da o su mandato di ufficiali dei CC e non risalivano alla scena del crimine dell'epoca). Nel settantaquattresimo-settantacinquesimo minuto della sua allocuzione sopra linkata, Palego, polemizzando contro innominati mostrologi, invoca il "rasoio di Occam" e afferma che la vicenda del Mdf "ha bisogno di semplificazioni, non di astrusi ragionamenti".

mercoledì 11 ottobre 2023

L'alibi di Salvatore (2)

 

Vorrei aggiungere qualche breve considerazione rispetto a quanto scritto nell’ultimo post in merito all’alibi presentato da Salvatore nel 1968 e smentito da Nicola Antenucci 17 anni e rotti dopo i fatti.

Per far questo, mi occorre utilizzare un concetto che è proprio della critica biblica, quello di “Sitz im Leben” (e chiaramente lo faccio in omaggio a uno dei miei pochi lettori/commentatori che si firma “Reimarus”). Quindi cosa indica questa difficilmente traducibile espressione tedesca introdotta nell’esegesi dalla “Scuola delle forme”? Che per capire ogni documento letterario è necessario comprendere il contesto storico in cui nasce, il pubblico a cui è rivolto, lo scopo che si prefigge. Ora, nel caso del Rapporto Torrisi del 1986 siamo ben lungi da un testo letterario (anche se alcuni passi presentano notevole somiglianza con le bibliche invettive contro i vizi di Sodoma e Gomorra); però può essere interessante comunque inquadrarne il contesto.

Posto che la testimonianza in esame (Antenucci si presenta spontaneamente al G.I.) ha luogo il 18 ottobre 1985, possiamo ampliare un po’ il panorama delle indagini che erano  in corso in quel momento. Tramontata l’ipotesi Francesco Vinci dopo il duplice omicidio del 1983, controllato senza esito anche il figlio di Salvatore e sodale di Francesco, rimessi in libertà i due cognati dopo l’omicidio di Vicchio, rimaneva sull’agenda degli investigatori il solo Salvatore, giacché le sbrigative indagini del 1968-70 non fornivano ulteriori spunti, a parte alcuni nomi di soggetti siciliani forse in contatto con le due prime vittime.

Pertanto nel 1985 Salvatore Vinci è il primo sospettato, tanto più che dal maggio ‘85 Stefano Mele è tornato ad accusarlo; viene pedinato nei weekend e intercettato; senonché, proprio mentre è sotto sorveglianza avviene l’ultimo duplice omicidio, il che condurrà i CC all’amara conclusione “di non averlo controllato abbastanza bene” (in sostanza così Rotella pag. 154). A questo punto, vieppiù convinti gli inquirenti di venir menati per il naso da un callido e feroce assassino, nel mentre si intensificano - tardivamente -  i controlli già in atto, si torna al passato. E, come è noto il passato di Vinci vede la morte, in un caso violenta, nell’altro sospetta, di due donne a lui vicine: l’amante Barbara nel 1968 e  la moglie Barbarina nel 1960. E Mele,per quanto poco credibile, nel settembre 1985 dopo Scopeti, continua ad accusare Salvatore, questa volta insieme al proprio fratello Giovanni. 

 

Mario Spezi su La Nazione, ottobre 1985

 

 Quindi nell’ottobre 1985 prendono piede le indagini, in Sardegna e Lombardia, sul presunto suicidio di Barbarina Steri e si riesaminano, per l’ennesima volta, i fatti e i documenti del 1968. Per collegare l’omicidio del 1968 con la persona di Salvatore è però necessario smontare l’alibi presentato con successo a suo tempo, sia in corso di indagine sia nel processo del 1970 di cui abbiamo parlato nel post precedente. Potremmo supporre che proprio in questa critica temperie - in questo Sitz im Leben - a qualcuno degli inquirenti sia caduto l’occhio sullo strano verbale del 24 agosto 1968, in cui Nicola Antenucci aveva parlato inizialmente di una partita a biliardo avvenuta il martedì, facendosi poi convincere dal P.M. Capponnetto a correggere il giorno in mercoledì.  Nicola Antenucci viene risentito - dopo varie deposizioni, delle quali l’ultima del 1983, nelle quali aveva confermato quanto inizialmente dichiarato - il 16 ottobre e, nell’occasione, spiega come erano avvenuti gli interrogatori di cui è verbale, ma ancora a quanto sembra non è in grado di ricordare precisamente tutti gli avvenimenti della settimana; Torrisi non ci dice se tuttora confermi o meno le date più volte indicate, ma certo dei dubbi gli saranno venuti o gli saranno stati fatti venire.

Passano due giorni e ad Antenucci, il 18 ottobre, torna, per fortuita ed inspiegabile combinazione (cit.), la memoria totale, esaustiva e definitiva della settimana; l’abbiamo già descritta.

Ora, chiunque abbia qualche vaga nozione del funzionamento della memoria non può non essere scettico in merito al miracoloso recupero della memoria di Antenucci, per quanto avvenuto “dopo aver attentamente meditato” (Torrisi) per due giorni (1). Volendo credergli, si dovrebbe pensare piuttosto che lo sapesse dall’inizio e per questo ne avesse conservata precisa memoria. Ma allora, sorge la domanda, se voleva fornire l’alibi al nuovo amico, perché non fornirlo a puntino, per il giorno giusto? Questa domanda resta, a mio avviso, aperta.

 

(1) Chi è interessato ad approfondire l’argomento può documentarsi, oltre che sui libri già classici della prof.ssa Giuliana Mazzoni, sull’ampio materiale presente nei siti https://www.societadipsicologiagiuridica.org/ e https://www.testimonianzapenale.com/