giovedì 15 gennaio 2015

Gerarchia delle fonti per lo studio del caso del Mostro di Firenze (4)


Passiamo ora alla letteratura vera e propria: filologicamente, si parlerebbe di letteratura secondaria, ossia basata, quanto meno si spera, su fonti primarie. Al primo posto sta ovviamente la stampa dell'epoca, che presuppone una conoscenza vicina all'evento e mediata da un unico passaggio (dalla fonte – inquirente chiacchierone, avvocato, perito, teste – al giornalista). In fase di indagine, inoltre, difficilmente il giornalista si sbilancia troppo con proprie ipotesi investigative, per evitare di essere smentito successivamente, e si limita a fare un lavoro di cronista e raccogliere voci, indicandole per quello che sono senza farle passare per verità rivelata. La cronaca contemporanea all'evento e, successivamente, all'indagine è dunque preziosa, se letta cum grano salis; se non ci avvicina alla verità, ci riporta almeno qualcosa di quello che gli inquirenti stanno facendo o pensando, il che dal punto di vista della ricostruzione storica è ugualmente fondamentale. Parimenti, hanno maggior interesse i libri di cronaca usciti in corso di indagine, che tendono a raccontare e riepilogare piuttosto che proporre verità investigative. Non per nulla, i primi due libri sul caso furono scritti, a delitti in corso, da due giornalisti che se ne occupavano quasi dall'inizio per il principale quotidiano fiorentino.

I libri scritti da protagonisti del caso, in forma di memoriale autobiografico come quelli degli investigatori Perugini e Giuttari, o di approfondimento giuridico come quello del giudice Ferri o dell'avvocato Bevacqua, presentano l'ovvio vantaggio di offrire una conoscenza di prima mano e l'altrettanto ovvio svantaggio di essere "ideologicamente schierati". Se da una parte permettono allo storico di conoscere dettagli non altrimenti noti visti attraverso gli occhi dei protagonisti, dall'altra necessitano di una modalità di lettura scrupolosamente critica. Se lo storico dell'antichità sottopone a vaglio la verosimiglianza delle affermazioni di Giulio Cesare nel De Bello Gallico e nel De Bello Civili, altrettanto occorrerà fare delle narrazioni degli investigatori-scrittori che ci raccontano delle indagini da essi stessi svolte, avendo ben presente il vecchio detto "Cicero pro domo sua".

La letteratura nel discorso corrente, parlato e da forum, è una "fonte"; per il filologo o lo storico non è affatto così; essa vale unicamente per quanto sono buone le sue fonti (e il senso critico del suo autore). Se un autore non dispone di fonti primarie sufficienti, farebbe meglio a non scrivere. Non tutti però la pensano così, come dimostra la pletora di tentativi di ricostruzione storico-giudiziaria del caso pubblicati nel corso degli anni. Anche grazie alla nuova tecnologia (ebook) che riduce o azzera i costi di pubblicazione, la saggistica in materia è notevolmente aumentata negli ultimi anni; il valore storico di questa produzione è molto discontinuo, si aggiunga che parecchie fonti primarie sono di pubblicazione recente, il che rende irrimediabilmente datati buona parte dei testi scritti in precedenza. Un criterio semplice, ma spesso efficace per distinguere il grano dal loglio è verificare se i testi citano e riportano le fonti delle proprie affermazioni; ove non sia così, il testo potrà essere precisissimo, arguto, di piacevole lettura, ma non sarà ovviamente utilizzabile per uno studio storico. All'opposto, in alcuni volumi (es. Adriani-Cappelletti-Maugeri, Bevacqua) vengono riprodotte fonti di carattere documentale mai pubblicate prima. Per ottenere una migliore conoscenza generale rimane comunque obbligatorio rivolgersi a siti specializzati: Calibro 22 – purtroppo da tempo dismesso; Insufficienza di prove – un'opera enciclopedica e in fieri e altri. In questo ambito vanno inseriti anche singoli documenti di interesse specifico diffusi in rete da appassionati; il loro valore è disomogeneo, ma alcuni risultano assai pregevoli, scrupolosamente documentati e originali, pur potendo essere superati allo stato attuale delle conoscenze. E' superfluo dire che li si utilizzerà non tanto per le teorie mostrologiche a volte astruse che sostengono, ma in quanto aggiungano conoscenze a quelle generalmente disponibili (es. riproducendo articoli di stampa, fornendo foto inedite ecc.) o costituiscano rivisitazione criticamente valida di contesti già noti.

Di documentari televisivi ne sono stati prodotti molti, alcuni molto buoni, altri meno buoni, alcuni pessimi e fantasiosi. Il loro valore quali fonti sta nella riproposizione di fotogrammi, filmati, articoli di giornale contemporanei agli eventi e non più reperibili e nelle interviste ai protagonisti del caso, sui limiti delle quali si veda sopra. Quanto alla fiction (film e serial) per definizione non ha alcun valore di fonte, essendo opera di fantasia. A questo proposito mi piace ricordare il tentativo di scovare misteriose tracce e verità nascoste nei due (men che mediocri) film usciti nel 1986. In quello di Ferrario (Il Mostro di Firenze) perché vi aveva collaborato Mario Spezi, il che lo rendeva sospetto a prescindere; in quello di Teti (L'assassino è ancora tra noi) per un dialogo finale in sottofondo dove si accenna all'uccisione di un guardiano (di un museo) e del furto di reperti archeologici, elementi che sarebbero riferibili all'uccisione del medico di Perugia, custode dei feticci. Ancora nel film di Teti, prima dei titoli di coda venne inserito un'ambigua scritta, che recita più o meno così: "Questo film è stato realizzato nella speranza che sia di aiuto alle forze dell'ordine per assicurare alla giustizia questi feroci assassini" (al plurale, nel 1986!). Vi è inoltre un film rarissimo, 28° minuto, che, a quanto sembra dalla consultazione di IMDb, risulta essere l'unica opera del regista Paolo Frajoli (ma forse era di Gianni Siragusa); non sembra che all'epoca molti siano riusciti a vederlo, forse perché vi si nascondono misteriosi messaggi in codice (per i più curiosi si trova comunque su Youtube nel canale di Paolo Cochi; qui  la recensione).

(SEGUE)

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